Noi non siamo l’ultimo giapponese
L’ultimo militare giapponese nell’isola a combattere una guerra finita e persa da tempo. L’immagine evocata qualche giorno fa da un amico mi ha fatto pensare, soprattutto perché definisce il clima di sfiducia attorno alle iniziative, in cui chi resiste e non si arrende è considerato il matto che insegue fantasmi.
Sabato ho partecipato via internet alla riunione delle associazioni di SinC. Per me è motivo di orgoglio esserci, anche se virtualmente e anche se partecipo in qualità di aderente e non di associato, non esistendo alcuna associazione di tifosi del Toro che aderisca ai principi di SinC.
L’aver appositamente non considerato toromio tra le associazioni non è un caso: un’associazione che vede tra i propri iscritti solo avvocati, chirurghi, commercialisti e professori, per non parlare dei principi ispiratori che prevedono un’influenza di voto proporzionale alla quota versata, sa di tutto tranne che di popolare e in quanto tale è impossibile (allo stato attuale almeno) che possa realmente credere ai principi di SinC, a meno di un clamoroso dietrofront.
Mettendo da parte toromio, la cui influenza nel futuro dei tifosi nel calcio italiano è pressoché nulla se non negativa, l’Assemblea annuale di sabato ha visto la condivisione di più esperienze di lavoro tra realtà che faticano a crescere, soprattutto perché si devono confrontare con il terreno arido che è il calcio e la società italiana attuali.
La lotta difficile di Cava United, che ha deciso di partire da zero per costruire dal gradino più basso del calcio italiano, la nuova esperienza di Mia Terracina, le difficoltà incontrate dall’associazione Taras, da Sosteniamolancona e dalle altre associazioni nel creare le basi per un futuro diverso, sostenibile e fatto di passione vera, sono la storia reale del nostro calcio. Le associazioni come del resto tutte le altre iniziative sane del calcio italiano sono costantemente minacciate dagli spettri degli avventurieri del calcio, veloci a promettere sogni quanto a sparire quando la fonte di guadagno accenna ad esaurirsi. A queste difficoltà si aggiunge il desolante scenario costituito dal sottobosco di affari che girano intorno alle squadre di calcio di qualsiasi categoria: false fatturazioni, giovanili sponsorizzate dai genitori degli allievi (con buona pace della meritocrazia anche nello sport), contrattazioni illecite tra enti comunali e avventurieri di turno, compravendita di titoli, il tutto in nome di una sostenibilità precaria che aggira le regole (fiscali, legali, sportive) e sacrifica gli interessi del tifoso in nome del pallone che rotola, purché sia nella categoria più alta possibile.
Tutto questo è realizzato sotto gli occhi semiaperti e complici delle istituzioni, specialmente quelle cittadine, i cui titolari dimenticano puntualmente il loro ruolo di rappresentanti vestendo i panni di monarchi assoluti, avendo come interesse unico la rielezione alla tornata successiva, non tutelando gli interessi dei cittadini ma solo quelli del gruppo più influente.
Ma questo d’altronde è lo specchio esatto dell’Italia, fatto di leggi senza senso (tessera del tifoso, regole daspo e contributo di accesso alle leghe in primis) che il cittadino, prima ancora che tifoso, non dovrebbe tollerare e dovrebbe invece puntare a cambiare, per il futuro proprio e delle future generazioni.
Il calcio d’altronde potrebbe essere un laboratorio di associazionismo e cooperazione per i cittadini e costituisce un modello semplificato di quella che dovrebbe essere la democrazia in una nazione. Tutti hanno diritto a giocare, con i più bravi ché si distinguono in un contesto alla pari, undici contro undici, dove il gioco di squadra può favorire un gruppo anche contro individualità importanti, esattamente quello che dovrebbe essere la nostra società.
SinC non è composta da individui che si sentono come il giapponese nell’isola. SinC è un gruppo e ogni anno, un passo alla volta, sta conquistando nuovi risultati, diventando un esempio da seguire per altre nazioni europee che inseguono un calcio sostenibile. Questa è la direzione giusta, questa è l’unica via per la sopravvivenza anche se il cammino è molto lungo e siamo solo all’inizio, questo è l’unico modo per lasciare qualcosa di concreto per il futuro nostro e delle generazioni future.
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