SinC 2015: La brezza che sarà tempesta
È la seconda assemblea di SinC, ma i progressi da due anni a questa parte sono notevoli per chi sa vederli. Il numero delle associazioni che hanno aderito allo spirito di SinC è aumentato, un progresso costante che vede sopratutto gruppi che hanno vissuto momenti terribili, fallimenti, presidenti e/o proprietari criminali, rischi di cancellazione dallo scenario calcistico, insomma una collezione di eventi di cui vediamo in questi giorni l’esatta copia, il ripetersi costante.
Ma i progressi non sono solo nei numeri. È forte la coscienza di essere sulla strada giusta, l’unica strada percorribile per salvare il calcio dall’essere lo specchio peggiore della società italiana. Lì dove lo sport dovrebbe permettere ad una comunità di trovare una delle sue maggiori espressioni di cooperazione, di unione e di democrazia nel più nobile senso della parola, l’opportunismo dei peggiori elementi di questa società naviga con ostacoli risibili, sia da parte delle istituzioni sportive, sia da parte di quelle finanziarie e fiscali.
Ma è proprio in questo scenario che si incunea SinC. Questi cicli di sopravvivenza assistita non sono più l’unico scenario possibile, non è il destino che ogni progetto sportivo dovrà necessariamente avere. La coscienza che si può e si deve pretendere di più prima di tutto da noi tifosi, poi dalle istituzioni sportive, è forte ed è uno dei primi concetti ad essere condivisi e ribaditi fino allo sfinimento.
È necessario organizzarsi, innanzitutto, per poter contare, per poter essere un interlocutore credibile nei confronti di tutti, istituzioni e società sportive. È un percorso lungo, fatto di errori, di lotte interne ed esterne e di delusioni, ma un percorso fatto di costanza e di sacrificio, tanto più possibile quanto più è condiviso dalla comunità di tifosi.
E talvolta può capitare il miracolo, come quello occorso ad Ancona, dove un proprietario decide di affidare la società ai tifosi, aiutandoli nel percorso verso la sostenibilità economica, un miracolo che è potuto avvenire solo perché l’associazione di tifosi, Sosteniamolancona, era lì, pronta, da cinque anni a fare le pulci alla società, mostrando la propria serietà e facendo da baluardo ad ogni tentativo di inserimento da parte degli squali di ogni tipo.
È la maturità della cooperazione, del confronto e dell’organizzazione a fare la differenza, a costringere una società sportiva, per quanto grande, a dover fare i conti con i tifosi, i veri finanziatori del calcio. A parte i casi di pochi magnati che decidono di buttare parte del proprio patrimonio per propri fini, la maggior parte delle risorse arriva infatti tramite diritti TV, abbonamenti e biglietti, merchandising, le sponsorizzazioni e la pubblicità di cui i tifosi sono sempre e comunque gli ultimi destinatari. E spesso, in quanto cittadini tassati, siamo costretti anche a pagare il conto salato dei disastri lasciati da personaggi discutibili e senza scrupoli.
Il Toro sembra esente da questi scenari, la squadra granata alla luce dei bilanci passati è in grado di auto sostenersi, tutto sommato un vantaggio sia per il proprietario che fa i propri affari senza rimetterci un euro, sia per i tifosi che sanno di tifare per una società in salute. Uno scenario che azzittisce ogni voce contraria, grazie al buon campionato, al successo nell’ultimo derby, la bella prestazione in Europa League e non ultimo lo scudetto della squadra Primavera.
Tutte le altre necessità condivise negli ultimi anni passano quindi in secondo piano: avere il Filadelfia, una tifoseria non frammentata, una struttura societaria di maggiore spessore, diventa meno importante e ci si concentra solo sul calciomercato, con la speranza che uno dei gioielli non venga venduto.
Ma è questo il Toro che vogliamo? A parte i risultati sportivi, dov’è quel sapore forte di granata che contraddistingueva anche gli anni bui? La trasmissione generazionale del tifo diventa sempre più difficile perché è sempre più complesso spiegare perché un ragazzo dovrebbe tifare Toro e non una qualsiasi delle altre squadre, tutto è schiacciato e quel poco che vediamo di granata si riflette per lo più dai nostri fratelli di tifo. Dall’appartamentino che chiamiamo società arrivano messaggi che puzzano di merchandising da lontano un miglio e la gestione dei calciatori sembra un mercato delle vacche, non importa se a strisce bianconere, mentre le squadre giovanili si allontanano da Torino e il Filadelfia suona come un dovere/disturbo più che un principio.
L’assemblea di SinC ha dato una prima risposta. I tifosi devono riprendere il loro calcio, imporre la propria presenza, cambiare il livello del loro rapporto con le istituzioni sportive e con il loro club, proteggendo i simboli che amano e unendo le loro forze con quelle di altre tifoserie, per un obiettivo comune. Quello che oggi è solo una piccola brezza che a malapena sposta i fogli di giornale e i loro riquadri in fondo pagina, se noi vorremo un giorno sarà quel vento che cambierà il calcio, una tempesta se saremo uniti.
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