A sinistra della virgola
E’ solo un gioco, il calcio. Ma non per tutti.
Per qualcuno è un simbolo, un frammento di mondo che guardato da vicino lo rappresenta tutto.
Noi, intesi come tifosi granata del dopo Superga, abbiamo passato diversi periodi. Quando eravamo “giovani” ed avevamo gli occhi pieni di stelle e ideali, mai avremmo concepito di poter combattere per una causa ingiusta, non avremmo mai pensato di tirarci indietro, neppure di fronte alle sfide più impari. Per molti eravamo nient’altro che poveri sognatori avulsi dal sistema. Fuori dal tempo, allora come oggi.
Ma eravamo felici di esserlo, eravamo felici di non seguire gli schemi, di non essere parte del mondo “ufficiale”, di non desiderare nulla che non ci conquistassimo, che non ci spettasse. Meglio perdere che rubare, che conformarsi, che diventare come “loro”.
Poi sono passati gli anni. Hanno convinto qualcuno e ce l’hanno tolto dalle fila. Così va il mondo, buon per lui. Ora è come gli altri, ha perso le stelle e non le ricorda. Non crede nemmeno più che esistessero davvero.
E’ entrato nel sistema, finalmente al passo con i tempi anche scopiazzando i nemici di sempre.
Senza accorgersi che ne va ad ingrossare le fila mentre si assottigliano quelle che ti avevano reso uomo. E’ così che maturano le divisioni, è così che si soffocano gli ideali, conformandoli ad una realtà imposta e aiutandosi in quest’opera con la menzogna, con il potere. Ma non viene chiamato con questo nome, nessuno lo chiama più così. Nessuno lo ammette. Usano ideologie “realistiche” per giustificarsi, parlano un linguaggio concreto, hanno i numeri dalla loro parte, cifre, bilanci, percentuali e prospetti. Loro non c’entrano niente, non possono fare diversamente, non è potere, sono solo numeri. Che scrivono loro e stanno sempre dalla loro parte. E in questi numeri noi siamo meno che decimali, la virgola è un muro invalicabile.
Ma non sono i cairo di questo mondo a costituire la minaccia peggiore.
Sono la tranquillità, la rassegnazione, la celata ammirazione, la convinzione di essere “come gli altri” o finalmente non vergognarsi di aspirare a diventarlo. Non importa come.
Basta che qualcuno, che chiunque, come voglia, ci porti tutti là, a sinistra della virgola, insieme al grosso del gregge.
L’avventura se n’è andata, ed il gioco anche. Il calcio, come la vita, è cosa loro. Loro mettono gli steccati e stabiliscono i confini.
E la poca rabbia rimasta va monitorata. Sono dei maestri in questo, l’ ira è come la paura, una medicina che va data a piccole dosi, goccia dopo goccia, perché data in un boccone causa ribellione, e questo a loro non va bene.
Una bastonata sempre più forte, ed una carota via via più piccola, così funziona. Finché non ti accontenti di una briciola di nascosto, ed in silenzio per non svegliare il bastone.
Ma eravamo noi e non altri a rappresentare la lealtà, il coraggio, la gagliardia, l’indipendenza, la fantasia.
Siamo stati i primi in tutto, abbiamo inventato tutto e altri ne hanno fatto medaglie di latta.
Dai club di tifosi agli striscioni, dalle giovanili alle trasferte.
Saremo forse gli ultimi ad essere assorbiti, conglobati, nascosti, truccati, plagiati. O forse siamo stati i primi anche qui, meglio iniziare con i più intransigenti.
Se passerà con noi, con quelli che una volta rappresentavano la rivincita contro il destino e contro la consorteria dei potenti, il resto sarà un gioco da ragazzi.
Già, solo un gioco, un frammento di mondo, come il calcio.
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