Toro: un buco nero chiamato serie A
Ci si può illudere che chi gestisce un club di Serie A lo faccia per puro mecenatismo. Indubbiamente, ci sono alcuni presidenti che nella squadra di cui sono proprietari hanno buttato un sacco di soldi, primi tra tutti Moratti e Berlusconi, il primo per stupidità (il fatto che voglia tenere Branca, ne è una dimostrazione), l’altro per convenienza politica.
Ci sono anche altri presidenti, che gestiscono il calcio come un gigantesco affare, vedesi la famiglia Pozzo, che ha compreso bene i meccanismi del calcio e li sfrutta a suo vantaggio, o presidenti come Campedelli che gestiscono il Chievo in sostanziale pareggio di bilancio. E poi ci sono presidenti come Cairo, che hanno sfruttato l’immagine del Toro per loro tornaconto personale fin dall’origine e adesso, dopo anni di cadetteria, riescono a godersi anche il notevole margine che una squadra in Serie A può assicurare.
L’analisi degli affari legati al Torino FC è però, come ogni squadra di serie A, molto complessa. Fare un quadro degli introiti derivanti da ingaggi e dalle vendite dei giocatori è come fare i conti affidandosi alle voci delle comari. I giornali infatti, arrivano dove possono e avere notizie certe sugli ingaggi e sulle transazioni è affidato alla discrezionalità dei singoli club. Un esempio è il trasferimento di Brighi dalla Roma, per una somma non precisata, o quello di Di Cesare al Brescia, per cui “forse” il Toro ha pagato un conguaglio sull’ingaggio. Forse? I contratti sono depositati in Lega e come ogni contratto in Italia è protetto da un vincolo di segretezza manco si trattasse di uno dei segreti di Fatima, questione di privacy si dice. Stesso discorso per giocatori come Bovo, arrivato nell’affare Immobile dal Genoa.
Insomma, impossibile fare i conti esatti nelle tasche di Cairo, ma alcune cifre sono immaginabili: 35 milioni di euro di contratto dalle TV, circa 10 milioni aggiuntivi tra incassi da stadio, sponsor e merchandising, 12 milioni dalla cessione di Ogbonna, non si vede un corrispettivo negli investimenti effettuati. Circa 15 milioni investiti per i cartellini e per la risoluzione delle comproprietà, circa 10 milioni di ingaggio netto (ridotti di molto grazie alla dipartita di Ogbonna e Bianchi) che al lordo significano circa 21 milioni di euro, 10 milioni (ma qui sto esagerando, e di molto) di spese accessorie per giovanili e struttura, mancano ancora 10 milioni di euro all’appello. Che diventano un margine consistente e che, considerando che Cairo ha un notevole guadagno in termini di immagine sia per sé che per la sua azienda (negli ultimi cinque anni il titolo ha raddoppiato il suo valore, a dispetto dell’andamento catastrofico della borsa), diventa un buon motivo per tenersi stretta la società a dispetto degli insulti di “braccino corto” che sempre più spesso riceve.
E il club? E’ uno dei meno capitalizzati della serie A, il valore di mercato è praticamente la somma dei cartellini dei giocatori (il valore di mercato attuale dei giocatori in organico è 47.5 milioni di euro (al 15-imo posto in serie A, fonte transfermarkt.it), ben superiore a quanto investito quando rilevò il Torino da Giovannone). Chi compra il club da Cairo avrebbe a disposizione un bene non solo che frutta ma anche immediatamente liquidabile. In attesa che gli investimenti ulteriori ( i giovani acquistati quest’anno più quelli dati in prestito sono un altro capitale potenziale) diano i loro frutti, Cairo può tranquillamente staccarsi la cedola milionaria che gli potrà permettere ulteriori investimenti in RCS.
Cosa dà al Torino tanto valore? La sua storia, i suoi tifosi, sparsi in tutta Italia e con tutta probabilità in maggiore quantità di quelli che sono valutati nella ripartizione dei diritti televisivi che ci vede, come quota assegnata per i supporters, agli ultimi posti della serie A (vedi tabella sotto). Valore che potrebbe accrescere ulteriormente se il proprietario curasse maggiormente i rapporti con la tifoseria, impegno che non smette di disattendere da anni a questa parte, lavorando ai fianchi i tifosi per farli disinnamorare (non si capisce quanto volontariamente) di questa squadra. Gli ultimi esempi sono le trattative condotte con l’altra squadra della città (con la quale teniamo in compartecipazione l’attaccante Immobile) e le ipotesi fortunatamente rimaste tali di acquisto di un calciatore inviso alla tifoseria. Ma quello che fa più rabbia è la gestione dell’affare Filadelfia. Dopo tante promesse vane, investe un solo milione nella Fondazione per la ricostruzione e non ha ancora fatto pervenire al Comune la lettera contenente le cifre alle quali vuole affittare le strutture del Fila.
Quanto è forte l’amore dei tifosi per il Toro? Quanto margine avrà ancora Cairo per gestire a suo modo il club?
(1506)
Circolano voci abbastanza attendibili, secondo le quali “braccino” non possa vendere il Toro prima di 10 anni, poichè esiste un contratto stipulato con i “lodisti” che in caso di cessione della società prima del 2015, Cairo dovrebbe dividere il ricavato con gli stessi lodisti, quindi ho la sensazione che dovremmo tenerci questo presidente ancora 2 anni.