Le briciole dei despoti
Ripubblichiamo un articolo comparso su RomaGranata.it, nel 2012. Nulla è cambiato…
Noi del Toro abbiamo una vita doppiamente complicata, tifiamo per un club bello da amare ma difficile da tifare (quando è in mano a certa gente) e viviamo in una nazione bella da amare ma difficile da sopportare (e questa, bene o male, è sempre stata in mano a certa gente). I torinesi poi, possono addirittura contare su una tripla complicazione (ma a ben vedere, siamo tutti sulla stessa barca): la città stessa è bella da vivere ma è difficile da digerire nelle sue insensatezze, essendo per gran parte preda del potere di politici di professione (anche se di sinistra), che sempre e solo guardano il do ut des, lo scambio di convenienza.
Ma iniziamo come in Google Maps, partendo dallo zoom più largo, guardiamo lo stivale del pallone per intero… bello geograficamente, è dal punto di vista del calcio passato dai fasti dell’82 al colpo di coda del 2006, in piena parte di parabola discendente che il calcio italiano sta percorrendo. Se lo si guarda in termini di clubs, la realtà è più o meno sempre quella: padroni, padroncini e mezze calzette improvvisati presidenti si alternano alla guida dei club maggiori e minori, a parte alcune realtà come gli ovini, che prima pagavano i campioni con i soldi fatti sul sudore degli operai, mentre oggi succede più o meno lo stesso, con l’aggiunta che quelli che sudano ora sono operai stranieri all’estero, visto che le fabbriche italiane chiudono. Poche realtà sane sopravvivono senza ricorrere al finanziamento dello stato per farsi costruire il loro cesso gigante, o senza ricorrere ad una valanga di denaro speso in modo più o meno insensato (Inter e Milan): l’Udinese, il Chievo sono degli esempi, le altre realtà non sono così virtuose. Ma quel che è peggio è ciò che gli gira intorno: nessuna regolamentazione, Federazione e istituzioni prone alle volontà dei potenti, il governo nazionale che fissa delle regole idiote per sconfiggere ufficialmente la piaga dei tifosi violenti, con il reale intento di eliminare del tutto i tifosi in trasferta (a favore delle pay-tv, guarda caso anche dell’ex-premier), lasciando sopravvivere solo tifosi burattini che reagiscono a comando con la stessa spontaneità dei tifosi di una partita giocata sulla playstation, tifosi da effetto scenico come quelli del telone di Trieste, solo più rumorosi. Insomma, l’ennesimo, sporco, do ut des.
Primo salto in avanti dello zoom: Torino. Qui si potrebbe parlare ancora della miseria dei gobbi, con il loro ridicolo quanto vergognoso (sopratutto alla vista degli altri paesi europei, noi italiani siamo abituati a queste buffonate) tentativo di dimenticare una sentenza di illecito sportivo e due scudetti revocati con un trucco scenografico patetico. Ma non bisogna arrivare a Zeman per dire che la sensibilità sportiva nella squadra più seguita dagli italiani (e solo gli italiani possono tifare una squadra così lurida) non consente loro di capire che se già ne avessero una decina in meno dovrebbero ringraziare il Dio del pallone, se esistesse, per non aver ancora fulminato l’ex squadra di dopati (sentenza archiviata per decorrenza dei termini, nonostante 3 scudetti conquistati in questo modo), l’ex dirigenza di malavitosi (sentenza passata in giudizio) e i suoi proprietari (che si commentano da soli).
Ma la Torino istituzionale è ancora più misera: sono stati disposti a passare su ogni elementare principio di uguaglianza sociale per venire incontro alla squadra di coloro che temono. Prima uno stadio quasi nuovo regalato ad un tozzo di pane (25 miliardi di lire a fronte dei 200 spesi per costruire lo stadio per Italia ’90) insieme ai suoi immensi spazi commerciali, in barba ad ogni rispetto per tutti gli altri cittadini che pagano una cifra spropositata per avere spazi commerciali di dimensione ridicola. Poi l’incapacità di impedire la distruzione della squadra che porta il nome della città partecipando senza reagire alle misfatte di Cimminelli (che Iddio gli tiri tante sberle quanti sono i santi in paradiso) esecutore demente del mandato di assassinio del Toro, fottendosene del principio di equidistanza tra squadre della stessa città. Quindi, ma questi sono solo pochi dei tanti misfatti, fanno muovere persino una mummia pur di andare in soccorso del centro commerciale dei “poveri disperati”, infischiandosene delle regole più elementari della concorrenza, non ricordandosi che tutto sommato anche i centri commerciali vicini hanno lavoratori il cui posto di lavoro deve essere salvaguardato.
Al massimo livello di zoom, troviamo infine il Fila. Un prato verde nel mezzo della distruzione che sembra essere stata generata da una guerra nucleare. Dimenticato dalle istituzioni per anni, se ne sono accorti anche fuori dall’Italia che non era possibile non preservare un’area storica come quella. I tifosi hanno combattuto per anni contro muri di gomma delle istituzioni, trovando di tanto in tanto qualche spiraglio in quei pochi membri che avevano dentro un po’ di sangue granata. Ritardi, dimenticanze, assenze, pastoie burocratiche, burocrati da quattro soldi con la faccia di gomma impermeabile agli sputi, politicanti da quattro soldi disposti a regalarti un sogno solo a parole e pronti a dimenticare il giorno dopo del voto. Tutto per compiacere il despota di turno, tutto per evitare che le magagne create nel tempo escano fuori a rivelare quello che è stato il banchetto sulle spoglie del Fila.
Ma i despoti hanno una caratteristica: prima o poi, a forza di mangiare da soli a bocconi grandi, si strozzano. Nel mentre che tiriamo via il Fila dalle loro unghie, speriamo che prima o poi qualcuno venga a levare loro il giocattolo dalle mani e spinga bene in fondo il boccone che gli è andato di traverso. Nel 2006, la legge sportiva ci è quasi riuscita, vedremo se cadranno di nuovo nel solito, vecchio errore.
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